I consigli di ANDREA CORRADO, recensioni sulle pellicole in visione e analisi delle trame
Il Natale di Lady D, tra depressione e ribellione.
Dal 24 marzo in sala Spencer di Pablo Larrain
E’ la vigilia di Natale del 1991 quando Diana Spencer, moglie di Carlo, principe del Galles ed erede al trono di Inghilterra, si perde, anzi, perde la bussola.
Sola, alla guida della sua auto verso la residenza della famiglia reale, dove è attesa dal consorte, dai figli, dalla regina e dall’intera corte, la principessa non riconosce le strade e la campagna intorno a Sandringham, il villaggio della contea di Norfolk in cui è nata e dove ha vissuto fino al matrimonio, una decina di anni prima. E insieme ai luoghi che appartengono alla sua storia, nei tre giorni di Natale del 1991, Diana Spencer non riconosce neanche più sé stessa.
Su questo frammento della vita di lady D ferma la sua attenzione Pablo Larrain con Spencer, il film presentato in concorso nella 78esima Mostra del Cinema di Venezia e in arrivo nei cinema italiani dal 24 marzo.
Dopo Jackie nel 2016, su Jacqueline Kennedy, il regista cileno dedica il suo lavoro a un’altra icona al femminile del ventesimo secolo e spende il suo indubbio talento per un’indagine intima sulla vulnerabilità e sulla forza del personaggio, alla ricerca di elementi poco noti. Un’impresa complicata dall’impossibilità di aggiungere qualcosa all’infinito già detto e visto su Diana Spencer. Motivo per cui il compito che si è dato Larrain riesce solo parzialmente ed evidenzia i contorni di un ritratto possibile: non affonda nell’ennesima operazione agiografica, ma nemmeno approfondisce i temi disseminati nel racconto. Come, per esempio, il conflitto non solo interiore della principessa, tra l’interesse della nazione e il potere, da una parte, e la libertà personale e l’affermazione della propria identità, dall’altra.
Resta ben evidente l’affanno di una donna giovane in estrema difficoltà, in oscillazione tra una lucida ribellione e le ossessioni nevrotiche e deliranti della depressione, che Kristen Stewart esprime al meglio, con il corpo e con gli sguardi, meritando la candidatura come attrice protagonista agli Oscar, da assegnare il 27 marzo.
Un film che suscita interesse e tiene alta l’attenzione, anche se alla fine rimane l’attesa della poetica e dello sguardo personale cui Larrain ci ha abituati.
Tra verità e follia, la fragile libertà di Giulia
Giulia, una selvaggia voglia di libertà
L’avventura esistenziale di una giovane donna, nella desolazione delle strade di Roma durante la prima estate pandemica, è il motore di Giulia, una selvaggia voglia di libertà, terzo lungometraggio di Ciro De Caro.
Giulia ha perso l’impiego in un negozio, anche a causa della pandemia, ma non è depressa: vede il suo futuro in una famiglia tutta sua e sogna il mare. Cacciata dalla casa in cui viveva con l’ex, chiuso per emergenza sanitaria il centro anziani frequentato per lavoro e per terapia affettiva, Giulia inizia il suo vagabondaggio in cerca di un tetto e di amore, ben risoluta a non farsi privare della propria libertà.
Con lo sguardo che rimanda al cinema del reale, De Caro segue Giulia passo dopo passo nella ricerca di un suo posto nel mondo.
Nel ruolo della protagonista è Rosa Palasciano, coautrice della sceneggiatura con lo stesso De Caro. Insieme disegnano una personalità complessa e contradditoria, eccentrica e sorprendente, che l’attrice interpreta con naturalezza e credibilità, affidandosi soprattutto ad una gestualità efficace.
Sulla sua strada Giulia avvicina le altrui solitudini, fragilità, ossessioni ed esistenze vuote, senza apparirne scalfita, presa com’è dai suoi bisogni vitali e dall’indagine di sé stessa. Su questo percorso, rispettandone la ritmica temporale ed emotiva, si snoda l’intera storia. La regia ben riesce nell’alternare momenti di straniamento e svagatezza, scene di follia surreale, frammenti di allusione poetica. Riesce meno quando vuole accentuare il tono di immediatezza e realtà con siparietti di amici di cinema, addetti ai lavori e semplici appassionati, che partecipano al film interpretando sé stessi, spesso mantenendo il proprio nome anche nella finzione.
Già apprezzato al debutto con Spaghetti story, nel 2013, il regista suscita attenzione per la cura dedicata alla realizzazione del nuovo lavoro e l’attenzione rispettosa verso la fatica esistenziale della protagonista, che coinvolge, irrita, in certa misura affascina.
Pur lasciando un senso di incompiutezza e un desiderio insoddisfatto di sviluppo ulteriore, un film espressione di un cinema coraggioso e indipendente da seguire in sala, dove è arrivato dopo la presentazione nelle Giornate degli Autori, sezione Notti Veneziane, durante la Mostra del Cinema di Venezia 2021.